Pubblico qui di seguito mia intervista odierna a “Bresciaoggi” a firma del bravo Massimo Tedeschi.
Dopo la buriana per la sfiducia (mancata) al governo Berlusconi, l’opposizione si riorganizza. Nei giorni scorsi è stato a Brescia Enrico Letta, che ha riunito gli amici di sempre. Fra loro Gianni Girelli, consigliere regionale, che muove da una premessa: «Il voto parlamentare – spiega – non è stato una sconfitta per il Pd, ma per una maggioranza che era larghissima e ora si misura su tre voti provenienti da partiti nati come antiberlusconiani». Detto questo, secondo Girelli, anche il Pd «deve rivedere la propria posizione». E riscrivere le dinamiche interne. «Noi della componente cattolico-democratica non abbiamo alcuna intenzione di abbandonare il campo – chiarisce Girelli – Siamo fondatori del Pd non per accordi di vertice ma perchè siamo presenti circolo per circolo, paese per paese. Dentro il Pd serve una maggior capacità di unità e incontro, a partire da chi si rifà a un’ispirazione cattolico-democratica». Girelli non pensa tanto alla Bindi («con lei la pace è già fatta») ma «piuttosto a Fioroni».
ALLARGANDO lo sguardo, il consigliere regionale insiste su una duplice necessità per il Pd: «Da un lato superare le appartenenze fra “ex”, dall’altro evitare il rischio che si instauri una mentalità d’opposizione. Così facendo ci si affeziona al ruolo, si esaspera la protesta, ci si preoccupa di avere con sè la totalità di chi è “contro”. Invece non basta la consapevolezza di essere alternativi a chi oggi è al governo, ma è necessario muoversi da forza di governo». Un partito votato all’opposizione «si logora nelle guerre interne». Un partito (potenzialmente) di governo «parla invece al Paese». Qualche esempio? «Fra la Fiom e Marchionne c’è uno spazio talmente largo che il Pd può occuparlo, rivendicando una presenza dello Stato nelle politiche per il lavoro».
AGLI INGOMBRANTI alleati di sinistra Girelli obietta: «Il Pd deve avere il coraggio di dire a Vendola che è il benvenuto se mette assieme la sinistra-sinistra. Ammesso che ci riesca». Il governatore della Puglia è, per Girelli, «interlocutore affidabile, serio, ma che non può essere certo la guida del processo». La sua insistenza sulle primarie suscita una punta di irritazione: «Con che diritto rivendica lui le primarie? Le primarie sono un’invenzione di partito, è ora di smetterla che le chiedano gli altri, ciascuno a proprio uso e consumo».
Girelli suggerisce un percorso più «classico»: «Prima costruiamo il quadro politico, e solo se non ci saranno le condizioni per individuare un leader, si potranno decidere le primarie». Va evitato un nuovo caso-Milano: «Là – dice il consigliere regionale – è stata scelta una persona degnissima, ma attraverso le primarie si è rischiato di predeterminare alleanze e opzioni politiche».
Oggi lo statuto del Pd stabilisce che il segretario del partito dev’essere candidato premier. Tutto ok? «A me la norma va bene. A meno che sia il segretario stesso a sollevare un problema». Per Girelli il Pd «deve saper parlare ai moderati», ma deve essere capace anche di dialogare «con i partiti che li rappresentano, a partire dal tema delle regole».
A PROPOSITO di regole interne, Girelli torna a chiedere «limiti di mandato e alcune incompatibilità». Reclama il ritorno alle preferenze nel sistema elettorale e, se non sarà possibile, «primarie nella scelta dei candidati, per evitare nuovi casi Lusetti, Binetti e Calearo». Infine, il tema-Loggia: «È tempo di pensare seriamente alla riconquista di Brescia. La persona giusta per farlo va cercata a cominciare dal Pd, ma senza fermarci solo lì. Bisogna spostare il tiro, smettendola con attacchi troppo personali a chi governa ma contrastando fortemente la politica che viene fatta. E che bada soprattutto a smantellare cose positive fatte in passato». M.TE.